Risalendo la Val Tanarella, poco oltre Toirano, si incontrano i contrafforti, di un massiccio calcareo di dolomiti grigie, solcato da una serie di valloni, in cui si aprono oltre 50 caverne naturali, tutt’oggi oggetto di ricerca da parte di studiosi internazionali. Il complesso delle grotte di Toirano, aperto al pubblico nel 1953, dopo le opportune opere di sistemazione, è gestito direttamente dal Comune e costituisce oggi una delle maggiori attrattive che l’entroterra della Riviera Ligure di Ponente offre al turismo italiano, con un numero di visitatori superiore alle 150.000 unità all’anno.

Come arrivare

Poco oltre l’ abitato, una deviazione segnalata sulla destra consente di giungere all’ ampio parcheggio antistante le Grotte. Sul piazzale di arrivo una costruzione ospita il Museo Preistorico della Val Varatella. Un breve percorso in salita a piedi porta all’entrata della Bàsura, dove si trova la biglietteria. All’ uscita una breve discesa riconduce dalla Santa Lucia al parcheggio. All’ interno l’ illuminazione elettrica è molto curata, ma la continua utilizzazione sta facendo crescere numerose muffe. Questo problema, unito al flusso eccessivo dei visitatori, comporta, come in altre cavità turistiche, un’ alterazione dell’equilibrio ipogeo-climatico e biologico, che andrebbe invece tutelato con una migliore regolamentazione delle ore di visita e della quantità di turisti. In occasione dell’escursione alle Grotte raccomandiamo una visita al borgo medievale di Toirano e al Museo di Storia, Cultura e Tradizioni locali della Val Varatella, ricco soprattutto di attrezzi originali e ricostruzioni dettagliate delle varie fasi di produzione dell’olio, tipica della valle. Il Museo è aperto tutto l’anno, tranne il lunedì.

Nell’agosto del 1944 due gemelli, un maschio e una femmina, vennero al mondo in una piccola, buia sala di una grotta dell’entroterra ligure, mentre all’esterno uno spaventoso bombardamento si abbatteva sul paesino di Toirano, in provincia di Savona. Alcune famiglie si erano rifugiate là, nella Grotta della Bàsura (‘strega’ in ligure), una delle tante che occhieggiano sulle scoscese balze rocciose della Val Varatella, per creare un riparo piú sicuro durante le lunghe settimane di paura. La cavità che le ospitava era conosciuta fin dal tardo Ottocento per la presenza di reperti romani, ma solo nel tratto iniziale.

Durante il soggiorno sotterraneo, alcuni componenti del gruppo notarono che nel punto dove si riteneva terminasse la grotta esisteva una stretta spaccatura fra le concrezioni calcitiche, e che da essa usciva una forte corrente d’aria. Il passaggio ritmico di alcuni pipistrelli, inoltre, faceva ipotizzare un ulteriore tratto interno inesplorato al di là della fessura impraticabile. Prima del 1950 la grotta piú nota era sicuramente quella Superiore di Santa Lucia, luogo di culto della Santa guaritrice degli occhi: presso l’ingresso, nel XVI secolo fu costruito un santuario rupestre che è ancora oggi meta di pellegrinaggio. Ma le scoperte nella Grotta della Bàsura hanno documentato una presenza continua dell’uomo in epoca preistorica e protostorica, aggiungendo all’interesse naturalistico e morfologico proprio delle grotte anche l’aspetto archeologico.

Nel 1961 le tecniche usate nella Bàsura undici anni prima permisero di aprire anche nella Grotta Inferiore di Santa Lucia un passaggio ostruito da riempimento calcitico (concrezioni). Come in precedenza furono trovati grandi ambienti, ancora piú belli e ricchi di cristalli. Si ipotizzò subito un collegamento fra le due grotte che consentisse un unico grande percorso turistico sotterraneo, ma la strada naturale non esisteva.Nel 1967 fu ultimato un tunnel artificiale di 110 metri tra il fondo della Grotta della Bàsura e una galleria della Santa Lucia Inferiore.
Oggi si entra dalla prima per uscire dalla seconda, con un’escursione ipogea superiore al chilometro (un’ora e mezza di visita) di eccezionale bellezza e interesse scientifico per le tracce, rarissime, di Ursus spelaleus, o orso delle caverne. Alto piú di tre metri, questo carnivoro fu il tipico rappresentante della fauna paleolitica delle nostre grotte fino a circa 10 mila anni fa. La sua vita sotterranea era legata al letargo invernale: le difficoltà alimentari dei periodi freddi lo spingevano a trascorrere un terzo dell’anno dormendo nel buio delle caverne. Nell’ ultima fase della sua esistenza sulla terra un’alta mortalità dovuta a malattie come la tubercolosi ossea e l’actinomicosi, che non furono superate anche per la mancanza di incroci con altre specie, colpì l’Ursus spelaeus.

Quantità notevoli di ossa si sono accumulate nella Grotta della Bàsura tanto da formare un vero e proprio “cimitero degli orsi”: nel corso dei secoli sono venute a morire in queste cavità migliaia di individui. Ma non mancano neppure le testimonianze del passaggio dell’uomo: nomade e cacciatore, l’Uomo di Cro-Magnon (Paleolitico superiore) entrò in queste gallerie dai 12 ai 15 mila anni fa per uccidere l’orso, sorprendendolo nel sonno. Sul pavimento di fango essiccato sono ancora visibili orme di piedi e, sulle pareti, numerosi segni di lotta: unghiate di orsi, colpi di torce legnose che i cacciatori portavano per farsi luce e spaventare i feroci animali, impronte del lancio.
Seguiamo ora questo emozionante itinerario sotterraneo. Entrando nella Grotta della Bàsura si accede subito alla Sala Morelli. Deve il nome allo studioso don Nicolò Morelli di Pietra Ligure, che nel 1890 vi scoprì reperti preistorici insieme a tombe romane entro anfore di tarda età imperiale. Dopo pochi metri ecco il famoso restringimento aperto con l’esplosivo nel 1950: si tratta di una occlusione concrezionale formatasi evidentemente negli ultimi 10 mila anni, se è vero che prima in quel tratto passavano l’orso delle caverne e i suoi cacciatori. E’ proprio questo riempimento che ha per così dire ‘sigillato’ la parte più interna custodendone i tesori sino ad oggi.
Ora il passaggio è comodo e consente di procedere nelle ampie gallerie successive scavate dall’acqua a pressione (condotte forzate), come confermano le forme circolari o ellittiche che contraddistinguono, modellate dagli antichi fiumi lungo linee di frattura della roccia o giunti di stratificazione. Poco più avanti la Torre di Pisa, una bella stalagmite centrale formatasi quando ormai sul pavimento non scorreva più acqua, precede la galleria ‘a 8′. La caratteristica sezione ricorda quella del numero arabo per l’erosione provocata dalla progressiva diminuzione del flusso idrico. Quando in grotta l’acqua non scorre più a pressione, ma a pelo libero ha inizio l’approfondimento e le forme divengono allungate, a forra o meandro.
Una serie di sale costringono a diverse salite, alternate a discese su gradini spesso intagliati nella roccia viva, mentre l’originario aspetto della grotta scompare nell’imponente deposito di stalattiti, stalagmiti, drappeggi, vasche cristalline e concrezioni parietali. Una splendida colonna a forma di scure dà ad uno di questi ambienti il nome di Sala del Fascio. Subito dopo siamo nel Corridoio delle Impronte, dove appaiono numerose le testimonianze degli uomini preistorici.
Superato un pozzo allagato mediante una passerella metallica, entriamo nella zona dell’Ursus spelaeus. Il grande carnivoro si spingeva dunque al buio sin quaggiù, a 450 metri dall’ingresso, per cercare la tranquillità necessaria al suo sonno invernale: unghiate si vedono un po’ dovunque sulle pareti, mentre sul pavimento si ammucchiano resti di ossa.Nel ’50 i primi esploratori si fermarono poco oltre la Sala dei Misteri: si notano ancora molte impronte e soprattutto le palline di argilla con i relativi segni sulla roccia. La loro presenza ha suggerito diverse ipotesi agli studiosi. Si parla di riti propiziatori alla caccia perché c’è una stalagmite simile ad un orso che potrebbe essere stata oggetto del loro lancio. Ma anche di cerimonie di iniziazione alla caccia, durante le quali i giovani dovevano essere colpiti dalle palline per ricevere la forza dei cacciatori adulti. Forse invece, più semplicemente, quei lanci erano destinati a stanare gli animali.

Il diaframma che anche qui ostruiva il passaggio fu abbattuto nel 1961, mentre si facevano i lavori nella vicina Grotta di Santa Lucia, nel tentativo di congiungere i due sistemi sotterranei. Con sorpresa gli speleologi trovarono la strada sbarrata da un laghetto limpido, che in breve svuotarono mediante una pompa. Mentre le acque calavano, ai loro occhi esterrefatti si presentò uno spettacolo più unico che raro: le concrezioni subacquee erano rotonde, bombate, addirittura sferiche, modellate dalla deposizione del carbonato di calcio secondo ritmiche ma continue oscillazioni del livello idrico.
Antro di Cibele (l’antica dea madre della fecondità) fu chiamato quest’ambiente, la cui formazione è dovuta ad una concomitanza di fattori quasi irripetibile, di assoluta rarità. Esso segna la fine del sistema sotterraneo della Bàsura: a partire da questo punto nel 1967, dopo un accurato sondaggio fu aperta la galleria artificiale di collegamento con la Grotta Inferiore di Santa Lucia. Quest’ultima non presenta nel suo interno reperti umani o animali: l’accesso è sempre stato troppo stretto per consentire il passaggio. Interi ambienti furono addirittura chiusi ermeticamente dal concrezionamento calcitico, e la temperatura interna arrivò ai 18° C, favorendo la formazione di depositi e cristallizzazioni di grande bellezza e rarità, che costituiscono l’attrattiva principale della seconda parte della grotta.

Al termine dei 110 metri artificiali sbuchiamo in una galleria rimasta a lungo isolata dal resto della cavità. La caratterizzano eccezionali ‘fiori’ di aragonite bianca, delicatissime formazioni cristalline aghiformi. In alcuni tratti si assiste ad una vera e propria esplosione di forme simmetriche ed armoniose, sia aragonitiche che calcitiche: ma mentre queste ultime, più arrotondate, sono abbastanza diffuse nel mondo sotterraneo, i cristalli di aragonite si formano raramente anche in presenza di temperature relativamente alte. Recenti studi tuttora in corso (Calandri) spiegano l’esistenza di aragonite a Toirano e la sua dislocazione limitata ad alcuni punti della grotta: le acque di percolazione che alimentano queste cristallizzazioni (il ‘fiore’ si forma per accrescimento di cristalli successivi) attraversano un calcare parzialmente dolomitico, cioè ricco di magnesio, arricchendosi di ioni magnesio, i quali inibiscono la deposizione di calcite e favoriscono quella di aragonite. Il risultato è altamente suggestivo, anche perché l’aragonite ricopre grandi stalagmiti come un velo di zucchero sopra un biscotto.
E’ quanto accade nella successiva Sala del Pantheon, molto ampia, dove una stalagmite raggiunge la notevole altezza di 8 metri. Proseguendo saliamo nel Corridoio delle Colonne: qui il segno di antichi terremoti si manifesta nelle linee di frattura che spezzano a metà numerose formazioni e nel materiale crollato, ora conglobato dal pavimento alabastrino. Deve essersi trattato di un assestamento sismico molto antico e di enorme potenza, poiché in grotta un normale terremoto lascia meno segni che nelle opere umane. Un laghetto ora scomparso ha creato nella Sala dei Capitelli ampi cornicioni all’altezza degli occhi, dove un tempo arrivava il livello dell’acqua: sembra di camminare in una bellissima piscina appena svuotata, che potrebbe riempirsi da un momento all’altro.

Ma è solo un’impressione, poiché quei laghetti furono formati dall’acqua di stillicidio filtrata durante le antiche glaciazioni, quando la grotta era già nella sua fase fossile e senile. Arriviamo infine al punto allargato artificialmente nel 1961, anch’esso involontario ma sicuro custode, come nella Bàsura, di eccezionali tesori naturali. Dopo averlo superato, si accede ad un alto corridoio dalle pareti spoglie, lungo circa 300 metri e corrispondente al tratto anticamente noto della Grotta Inferiore di Santa Lucia.
Le dimensioni imponenti e la mancanza di concrezioni danno l’esatta misura della quantità d’acqua che milioni di anni fa scorreva in questi ambienti. Al termine della galleria l’ampia uscita a picco sulla Val Varatella conclude i 1280 metri di escursione. Le Grotte di Toirano con il loro percorso rappresentano oggi una delle maggiori attrattive naturalistiche e speleologiche dell’entroterra ligure ed in assoluto del nostro paese: le sale, le gallerie, le pareti sotterranee offrono insieme capolavori della natura e finestre sulla più antica storia dell’uomo. Finestre alle quali non capita spesso di potersi affacciare.